Lavorare è considerato l’opposto di riposare, ma dev’essere necessariamente così? Ci sono Paesi e aziende in cui il riposo durante il turno di lavoro non è solo permesso ma addirittura consigliato: un simile trend può diventare uno dei diritti per i quali è necessario lottare.
In Italia abbiamo una cultura tossica del lavoro, chi gestisce le aziende considera i propri dipendenti esclusivamente come ingranaggi di un sistema che deve dare il massimo risultato ad ogni costo, anche superando i limiti previsti dal contratto e dal corpo umano. Ciò fa sì che i salari non proporzionati al lavoro svolto e insufficienti a garantire uno stile di vita adeguato sono solo uno dei problemi che i lavoratori italiani devono sopportare.

In tal senso sarebbe opportuno guardare al di là dei confini nazionali e prendere come esempio le pratiche delle aziende più innovative e di successo. Ci si è accorti che spremere i dipendenti fino all’osso non è solo eticamente scorretto, ma è addirittura dannoso per i risultati ed i profitti dell’azienda.
Sempre più multinazionali badano al benessere olistico dei propri dipendenti, traendone vantaggio nella produttività. Per fare ciò si sta cercando non solo di remunerare in modo corretto le mansioni svolte, aggiungendo anche benefit e bonus in caso di ottenimento dei risultati, ma anche di creare un ambiente lavorativo sereno, nel quale i dipendenti possano sentirsi al sicuro e pronti a dare il loro massimo quando sono nelle condizioni psicofisiche ideali per farlo.
Un tale approccio in Italia potrebbe sembrare paradossale, visto che da sempre si valutano i tempi morti dell’attività come uno “spreco di denaro” e si cerca di mantenere attivi i dipendenti chiedendo loro di svolgere mansioni contemplate dal contratto di lavoro e dal ruolo professionale per il quale vengono pagati pur di non farli riposare durante il turno di lavoro e non “Pagarli a vuoto”.
Dormire sul posto di lavoro dovrebbe essere un diritto: l’esempio giapponese e la via francese da seguire
Partiamo dall’esempio estremo, ovvero quello del Giappone in cui si sta radicando la pratica dell’Inemuri, ossia del dormire sul posto di lavoro quando il fisico richiede riposo. In un contesto come quello giapponese in cui la cultura del lavoro è diventata da tempo ossessiva al punto da causare morti per eccessivo sforzo, si punta adesso a spingere i dipendenti a prendersi una pausa quando il corpo lo richiede.

Tale principio si basa sull’assunto che se il dipendente non riesce a continuare non solo vuol dire che continuare a lavorare sarebbe controproducente per l’azienda e per il suo corpo, ma significa che si è già impegnato fino allo stremo delle forze e dunque in quel momento merita di riposare per poter tornare a lavorare quando il riposo gli avrà restituito le energie.
Senza arrivare all’estremo del pisolino, ci sono comunque altri esempi in giro per il mondo di Paesi che tutelano la salute dei lavoratori. Ad esempio in Francia è legge il diritto alla disconnessione, ovvero l’obbligo a carico dei datori di lavoro e delle aziende di non disturbare i dipendenti al di fuori dell’orario lavorativo e mai dopo le 18.
Una simile cura per i dipendenti si sta sviluppando anche in Germania e Thailandia, ci sono poi Paesi come la Finlandia e la Spagna che hanno avviato sperimentali settimane corte per concedere ai lavoratori 3 giorni di stacco dal lavoro durante la settimana e consentire loro di coltivare interessi personali, nonché dedicare tempo e spazio alla famiglia.
Il lavoro è sicuramente fondamentale per le finanze di uno stato e delle aziende, ma bisogna superare il principio della minore spesa per il maggior guadagno, abbracciando quello di una spesa più razionale e volta a trarre il meglio da chi lavora facendolo sentire parte di un gruppo coeso e rispettoso della sua persona e dei suoi bisogni, per ottenere il medesimo profitto (se non maggiore).