C’è una novità che riguarda il mondo delle pensioni e arriva direttamente da una circolare dell’INPS. Si parla di una sorta di “sanatoria contributiva”, rivolta ai periodi retributivi precedenti al 31 dicembre 2004. Non per tutti però: riguarda solo chi ha smesso di lavorare dal 2022 in poi. Chi invece è andato in pensione prima della fine del 2021 non vedrà cambiamenti sull’assegno. Ma andiamo a vedere nel dettaglio di cosa si tratta.
La circolare n. 118/2025, firmata insieme al ministero del Lavoro, è chiara: i ricalcoli sono ammessi solo nei casi più recenti. La Legge di Bilancio 2024 ha infatti aperto la possibilità alle amministrazioni pubbliche di regolarizzare i propri arretrati contributivi con l’Inps, inviando i flussi UniEmens/ListaPosPa. Senza tirare fuori un euro. Se da questi flussi dovessero emergere dati che modificano le pensioni già in pagamento, l’Inps può aggiornare l’importo e chiedere alle amministrazioni il recupero delle somme in eccesso. Il sottosegretario Claudio Durigon ha messo le mani avanti: “male che vada, il ricalcolo porta a un aumento dell’assegno o del Tfr. I casi al ribasso saranno rari, e comunque non retroattivi”.
Chi riguarda? Solo le pensioni dei dipendenti pubblici — provvisorie o definitive — per cui non siano passati più di tre anni dalla notifica del provvedimento. Se i tre anni sono già scaduti, non si tocca nulla. In quel caso l’Inps può agire solo sulle amministrazioni, chiedendo indietro le somme pagate in più, comprese quelle future finché non viene corretta la posizione. E qui entra in gioco anche il Tfs/Tfr: se i conteggi retributivi sono gonfiati, l’Inps procede con una riliquidazione e manda al pensionato una nota di debito. Non si paga? Scattano le procedure di recupero, a rate o in un’unica soluzione.
C’è poi un passaggio tecnico che segna la fine di un’epoca. Dal 1° ottobre 2025 verrà dismesso “Nuova PAssWeb” per l’aggiornamento diretto delle posizioni assicurative. Si passerà a un nuovo sistema che genera in automatico i flussi UniEmens/ListaPosPa, più semplice ma obbligatorio. La norma vale solo per le amministrazioni pubbliche (ministeri, regioni, comuni, università, Asl, enti di ricerca, enti pubblici non economici). Restano fuori gli enti privati, anche se iscritti alla gestione pubblica.
Perché tutto questo? Perché fino al 2005 i dati contributivi dei dipendenti statali arrivavano all’Inpdap in maniera frammentaria: moduli diversi, archivi incompleti, registrazioni mancanti. Un caos ereditato dalla fusione con l’Inps. Dal 2005 in poi, con le denunce mensili standardizzate, la situazione è stata messa in ordine. Ora si cerca di chiudere i conti col passato e ripulire definitivamente le posizioni assicurative.