Domani si gioca. E come sempre, la sera prima, tra bar e cucine di casa, spuntano previsioni, scommesse da pochi euro e storie di numeri “sicuri”. C’è chi giura che stavolta uscirà il 90, perché manca da troppo. Qualcun altro insiste col 7, “me l’ha detto in sogno mia nonna”. Poi c’è chi si affida alle statistiche, fogli pieni di ritardi e calcoli.
“Domani tocca al 13…”
La realtà è che il Lotto non ha memoria. Ogni estrazione è una storia a sé. Però provare a leggerci dentro è diventato quasi un passatempo nazionale. Nei bar di periferia trovi ancora chi discute dei numeri come se stesse parlando di calcio. “Oh, vedrai che domani tocca al 13, è troppo che non esce”, dice il solito ottimista, mentre gratta via il filtro della sigaretta.
C’è chi tiene sempre gli stessi numeri, quelli legati alle date dei figli o a un anniversario che non si vuole dimenticare. Altri cambiano ogni volta, per scaramanzia. Alcuni fanno sistemi, comprano più schedine, così almeno si convincono di avere più chance. In fondo, il bello è lì: non la certezza, ma l’attesa.
Domani qualcuno indovinerà, la maggior parte no. Ma intanto la vigilia resta piena di speranza, superstizioni e chiacchiere. Ed è forse questa, più ancora della vincita, la vera tradizione del Lotto.
