Déjà vu: perché capita? Ecco cosa succede davvero nel cervello

Capita a tutti: si entra in un bar in una città mai vista e scatta quella strana certezza di esserci già stati. Il déjà vu non è un presagio né un glitch della Matrix: è un effetto di familiarità che parte dal modo in cui il cervello gestisce ricordi e “impressioni”. In pratica, il sistema che riconosce ciò che è noto prende un attimo di vantaggio su quello che ricostruisce il quando e il dove: sentiamo che la scena è familiare, ma non troviamo il file giusto negli archivi della memoria.

Déjà vu: perché capita davvero

Gli studiosi indicano nel lobo temporale e nell’ippocampo i “registi” di questo cortocircuito. A volte basta un dettaglio a far scattare l’eco: la disposizione dei tavoli uguale a un locale di anni fa, una luce identica, persino un odore. È come se il cervello facesse una riconsegna rapida: associazioni sommarie, sensazione potente. Poi il sistema di verifica arriva e dice: “Aspetta, qui c’è qualcosa che non torna”.

Il déjà vu è più comune quando siamo stanchi, stressati, in viaggio o bombardati da novità. Non perché ci sia qualcosa che “non va”, ma perché l’attenzione è tirata e la mente sfrutta scorciatoie. Un altro fattore è l’ambiguità: ambienti molto simili tra loro (hotel, aeroporti, catene di negozi) creano layout ripetuti e il cervello ama riconoscere pattern.

Non c’è magia, ma non c’è nemmeno da sminuire: è un bell’esempio di come pensiamo. Il déjà vu ci ricorda che la memoria non è una telecamera: è ricostruzione, spesso velocissima e a volte imprecisa. E infatti la sensazione svanisce presto: il controllo di coerenza rimette ordine, l’episodio diventa solo un aneddoto (“giuro, questa scena l’avevo già vissuta!”) e la giornata va avanti.

Se vi capita spesso, la regola resta semplice: dormire meglio, ridurre il multitasking, concedere alla mente qualche pausa vera. Non azzera il fenomeno — ed è anche il suo bello — ma limita gli effetti della velocità con cui il cervello prova ad anticipare il mondo.

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