Dal 1° settembre scatteranno i primi effetti del cosiddetto bonus Giorgetti, pensato per chi sceglie di restare al lavoro pur avendo già i requisiti per la pensione anticipata.
Tradotto: in busta paga arriveranno stipendi più alti, perché il lavoratore non dovrà più versare la sua quota di contributi previdenziali all’Inps. Quella fetta – pari al 9,19% dell’imponibile – resterà in tasca, diventando salario netto. I primi a beneficiarne saranno i dipendenti del settore privato, mentre per i pubblici l’aumento scatterà da novembre. Secondo le stime, quest’anno potrebbero aderire circa 7mila persone. La richiesta va inoltrata direttamente all’Inps.
E i numeri? Qualche simulazione rende l’idea: con uno stipendio lordo di 2.000 euro al mese, l’aumento netto si aggira intorno ai 183,80 euro. Con 2.500 lordi si sale a circa 229,75 euro. Tutto questo senza tasse aggiuntive: nel 2023, infatti, il bonus era tassato dall’Irpef, mentre ora è completamente esentasse.C’è però l’altra faccia della medaglia. Quei contributi, incassati oggi, non andranno a incrementare il montante previdenziale. In pratica, la pensione futura sarà più bassa. È lo stesso principio che stava alla base della riforma Maroni del 2004: un incentivo economico immediato per restare al lavoro, a fronte di un assegno pensionistico ridotto.
In sintesi: più soldi subito, meno garanzie dopo. Una scelta che ciascun lavoratore dovrà fare mettendo sulla bilancia presente e futuro.