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Partecipazione

I primi riferimenti alla partecipazione dei beneficiari negli interventi di sviluppo risalgono alla metà degli anni '50. Tuttavia, solo negli anni '70 il riconoscimento dei fallimenti delle strategie di sviluppo top-down portate avanti fino a quel momento, che escludevano sostanzialmente un coinvolgimento reale delle popolazioni interessate, ha portato all'emergere di "partecipazione" e "sviluppo partecipativo" come concetti chiave nelle politiche di sviluppo. Oggi l'approccio dello sviluppo partecipativo accomuna apparentemente tutte le agenzie, dalla Banca Mondiale, ai governi, alle organizzazioni non governative di sviluppo. In generale, l'idea di fondo è che le agenzie di sviluppo devono coinvolgere le popolazioni beneficiarie in ogni fase del ciclo di progetto (dall'individuazione dei bisogni, all'esecuzione delle attività, fino alla valutazione dei risultati) per migliorare il funzionamento e l'impatto degli interventi. I vantaggi derivanti dalla partecipazione dei beneficiari possono essere così riassunti:

* l'efficienza nell'uso delle risorse del progetto migliora attraverso una riduzione dei costi di investimento e di gestione dovuta al contributo materiale della comunità, in termini di lavoro volontario e di risorse finanziarie e in natura;

* l'efficacia aumenta utilizzando le informazioni e la conoscenza locale per identificare bisogni e problemi e per evitare conflitti e incomprensioni;

* la copertura degli interventi può essere estesa a un maggior numero di beneficiari;

* la sostenibilità del progetto migliora se i beneficiari sentono di esserne "proprietari" e si fanno carico della manutenzione e del funzionamento delle realizzazioni del progetto dopo la sua conclusione, nel lungo periodo;

* l'autoresponsabilità e la fiducia in sé stessi vengono promosse contribuendo a sconfiggere la mentalità della dipendenza e inducendo la gente a prendere l'iniziativa e ad individuare soluzioni per i propri problemi.

Oggi la partecipazione, così come la prospettiva di genere, è ormai diventata uno slogan alla moda presso i donatori e le agenzie di sviluppo e questi concetti sono diventati ricorrenti in qualsiasi documento sulle politiche dello sviluppo, dai rapporti delle istituzioni multilaterali ai documenti di progetto delle ONG. Tuttavia, al di là dell'apparente consenso su questi concetti, appare evidente una diversità di interpretazione e soprattutto un divario impressionante tra la retorica e la pratica. Innanzitutto, come altri termini e concetti utilizzati nel campo dello sviluppo, anche "partecipazione" è caratterizzata da una ambiguità semantica: una connotazione positiva unanimemente condivisa nasconde nella pratica un significato che dipende da valori etici, orientamento politico e interessi materiali dei soggetti che lo utilizzano. In funzione dell'approccio utilizzato e del rapporto instaurato tra agenzia di sviluppo e beneficiari, la partecipazione può realizzarsi a diversi livelli di intensità: semplice informazione dei beneficiari sugli obiettivi e le modalità di realizzazione del progetto; consultazione dei beneficiari per utilizzare le loro conoscenze e capacità; partecipazione dei beneficiari al processo decisionale; iniziative di sviluppo promosse direttamente dai beneficiari.

Schematizzando, sono stati identificati due distinti approcci alla partecipazione. Il primo può essere definito un approccio strumentale che vede il coinvolgimento della popolazione locale come mezzo per raggiungere gli obiettivi del progetto nella maniera più efficiente, efficace e sostenibile. La partecipazione può essere una sorta di "condizionalità" imposta dall'alto o il risultato di una mobilitazione "volontaria" che punta all'ottenimento dei benefici materiali offerti dal progetto. Il secondo approccio vede la partecipazione come un fine in sé, mirante al rafforzamento del potere delle persone (empowerment) nei processi decisionali che le riguardano, accrescendo il loro controllo sulla propria esistenza e sulle scelte relative ai processi di sviluppo. Nuove capacità, fiducia e stima di sé acquisite attraverso il processo partecipativo stimolano un ruolo attivo e dinamico degli individui e della comunità, che si espande oltre i confini di un progetto particolare e investe processi di trasformazione sociale di più vasta portata. Mentre il primo approccio privilegia le strutture e i risultati della partecipazione, il secondo si concentra su un processo che non ha necessariamente un obiettivo preciso ma che può stimolare cambiamenti più profondi nella struttura sociale. Tuttavia nella realtà dei progetti, con i loro mix di obiettivi, metodologie e meccanismi istituzionali, la distinzione è spesso più sfumata e la confusione maggiore. Tutti i documenti di progetto affermano di promuovere un approccio partecipativo e l'empowerment dei beneficiari, ma in realtà, nella grandissima maggioranza degli interventi, questo si concretizza solo in maniera parziale. Si può affermare che, nella maggior parte dei casi, prevale un'accezione funzionale e strumentale della partecipazione, che si riflette in pratiche dove questa è solo un mezzo per raggiungere un fine determinato. Infatti, la maggior parte dei progetti di sviluppo sono promossi dall'esterno (dal governo, da una organizzazione internazionale o da una ONG) e ai beneficiari viene chiesto di partecipare ad un intervento già fortemente strutturato nelle sue logiche di fondo, negli obiettivi e nelle metodologie, sul quale essi non hanno in realtà il potere di incidere. La popolazione locale partecipa per accedere ai benefici materiali del programma di sviluppo, ma rimane sostanzialmente subalterna a decisioni prese da altri. In questo contesto anche il presunto processo di empowerment si limita all'acquisizione di abilità personali e collettive, e di capacità gestionali a livello locale, compatibili con un uso strumentale della partecipazione. Infatti in moltissimi casi questa pratica riduttiva di partecipazione finisce per essere funzionale al trasferimento di costi e di responsabilità di investimento e di gestione sulle comunità nell'ambito di politiche di aggiustamento strutturale che mirano a ridurre il ruolo dello stato nel settore sociale e più in generale nell'economia.

 

Una partecipazione autentica implica una concezione e una pratica dello sviluppo alternative a quelle dominanti, dove le persone assumono un ruolo centrale. La condizione di povertà e di esclusione sociale di centinaia di milioni di persone non deriva solamente dalla privazione di beni materiali e dalla impossibilità di accedere alle risorse, ma anche dalla mancanza di potere, cioè dalla impossibilità di intervenire sulle dinamiche economiche e sociali che plasmano le loro condizioni di vita. È evidente quindi che in questo contesto la partecipazione non è una questione di coinvolgimento più o meno sostanziale nel singolo progetto di sviluppo, ma riguarda il raggiungimento del potere di influenzare i processi che condizionano la propria esistenza. In questa prospettiva, un approccio autenticamente partecipativo deve porsi come obiettivo fondamentale quello di stimolare un processo di empowerment che produca mutamenti nelle relazioni di potere a vari livelli: tra diversi gruppi di una comunità, tra la popolazione beneficiaria e l'agenzia di sviluppo e più in generale nella società. In primo luogo questo implica il riconoscimento della politicità degli interventi di sviluppo. Infatti, a prescindere dalla loro natura, dal loro obiettivo, dal contesto e dal settore in cui hanno luogo, questi interventi non sono mai neutrali. Essi vanno inevitabilmente ad interagire con dinamiche politiche, economiche, sociali e istituzionali nella situazione locale e ad interferire con i rapporti di potere esistenti. Il mito della comunità come soggetto unitario e omogeneo nasconde una realtà fatta di contraddizioni e conflitti tra gruppi diversi: poveri e ricchi, donne e uomini, etc.

Poiché l'agenzia di sviluppo con la sua azione prende inevitabilmente parte, ha la responsabilità di scegliere, di favorire certi interessi e priorità piuttosto che altri. Inoltre, un autentico processo di empowerment deve necessariamente passare per una messa in discussione da parte dell'agenzia di sviluppo del proprio ruolo e del potere che le deriva dall'essere portatrice di un modello di sviluppo che incorpora un sapere e una conoscenza tecnica ritenuti presuntuosamente superiori. Respingendo l'idea di empowerment come un processo attraverso il quale un agente esterno può dare il potere ad altri soggetti, l'agenzia di sviluppo può giocare un ruolo di "facilitatore" di un percorso autonomo, individuale e/o collettivo, che parte dalla presa di coscienza della propria condizione e delle proprie potenzialità da parte delle persone coinvolte nell'intervento (self-empowerment). In anni recenti, una serie di metodologie partecipative si sono sviluppate da diverse esperienze, come l'azione-ricerca partecipativa, ispirata al lavoro del pedagogista brasiliano Paulo Freire, e la antropologia sociale applicata. La Participatory Rural Appraisal (PRA), ad esempio, è un gruppo di metodologie e approcci che si propongono di attuare un rovesciamento di ruoli, comportamenti, relazioni e processi di apprendimento negli interventi di sviluppo, a partire da una consapevolezza autocritica dei professionisti in questo campo, che si riflette sul modo di operare dell'agenzia e sul livello istituzionale. Queste metodologie si sono dimostrate un mezzo efficace per fare emergere le realtà e le priorità dei diversi gruppi all'interno delle comunità. Tuttavia, le metodologie partecipative possono mettere in discussione radicalmente il modello dominante di interventi di sviluppo solo se sono collocate in una prospettiva di trasformazione sociale che si espande oltre i confini dell'intervento specifico.

Una reale partecipazione delle popolazioni richiede quindi strategie e metodologie alternative negli interventi, perché essi siano non solo un mezzo per rispondere ai bisogni dei beneficiari e per migliorare le loro condizioni di vita, ma anche il veicolo di un processo di trasformazione sociale più ampio. In questo modo la partecipazione non potrà ridursi ad un mezzo per una maggiore efficienza ed efficacia delle strategie di sviluppo convenzionali, ma diventerà un fine in sé, in un processo di autentico empowerment delle persone, basato sull'appropriazione da parte di donne e uomini della libertà, della conoscenza e del potere necessari per esercitare un maggiore controllo sulla propria esistenza e scegliere il proprio percorso di sviluppo.