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Sistemi Economici

Gli esseri umani per soddisfare la maggior parte dei propri bisogni hanno a disposizione delle risorse economiche. Alcune di queste sono fornite dalla natura, dall'ambiente di vita. Ma in pochi casi sono utilizzabili direttamente, bensì devono essere trasformate combinandole e trattandole mediante le altre risorse economiche, capitale fisico e capitale umano. L'uomo è l'unico essere vivente in grado di adattare l'ambiente alle proprie esigenze, anziché adattarsi completamente alle condizioni ambientali. Ogni società umana deve risolvere questo problema, ossia deve comprendere al proprio interno un sistema economico. Il posto del sistema economico nella società, la sua estensione, la sua complessità e la sua organizzazione possono essere molto diversi. Non esiste un unico modo di organizzare un sistema economico. Tuttavia in linea di principio i sistemi economici possono essere valutati rispetto al loro scopo, che è quello di realizzare i bisogni espressi dai membri della società.

I sistemi economici possono essere classificati in base ad alcune caratteristiche generali.

La quantità e qualità delle risorse economiche disponibili:
in una economia agricola, sono prevalenti il ruolo delle risorse ambientali, il peso delle attività connesse all'agricoltura e la parte di popolazione in esse impegnata;
in una economia industriale, sono più importanti la quantità e qualità del capitale fisico, la maggior parte dei beni prodotti proviene della trasformazione industriale e la popolazione è soprattutto impiegata nelle fabbriche;
in una economia dei servizi, diventano sempre più rilevanti i fattori immateriali, sia dal lato della produzione (qualità del capitale umano, della istruzione, della informazione) che da quello del consumo (servizi alla persona, salute, sicurezza).

Le forme organizzative (dono, baratto, mercato, collettivismo)
a chi attribuire l'uso delle risorse,
come organizzare la produzione dei beni,
come distribuire i beni prodotti.

Le norme sociali che regolano i comportamenti all'interno del sistema economico.

In relazione a queste caratteristiche, i sistemi economici possono essere più o meno articolati e complessi. Tuttavia, lo studio dei diversi sistemi economici del passato e del presente dimostra che esiste sempre un intreccio profondo e complesso tra questi gruppi di caratteristiche. Si può dire che deve crearsi una coerenza di fondo tra ciò che gli individui di una società desiderano, ciò che essi hanno a disposizione, ciò che essi sanno fare e ciò che il sistema economico consente loro di ottenere. Di conseguenza, il sistema economico non può essere considerato come una parte a sé stante separata o separabile dal resto della società, né i sistemi economici sono facilmente imitabili o trasferibili da un contesto sociale ad un altro.

Istituzioni economiche

Il funzionamento del sistema economico non dipende solo da fattori economici in senso stretto (risorse e organizzazione delle attività economiche), ma anche dalle norme sociali a cui gli individui rispondono. Infatti, il sistema economico è animato dagli individui che compongono una data società e quindi dipende in maniera essenziale dagli scopi e dal comportamento degli individui. Ma allo stesso tempo, sia gli scopi che il comportamento degli individui devono essere coerenti con il funzionamento del sistema economico. Le norme sociali, in generale, svolgono la funzione di rendere le motivazioni individuali coerenti con la vita associata. Lo stesso avviene per la parte della società che è il sistema economico, mediante le istituzioni economiche. Le norme sociali, in senso lato, comprendono un insieme di fattori che condizionano (indirizzando o limitando) le motivazioni individuali in due modi principali: indirettamente, mediante concezioni religiose, filosofiche o ideologiche; direttamente, mediante regole informali (consuetudini) o formali (leggi) a cui l'individuo è tenuto ad obbedire. Un esempio di regola informale è il precetto dell'elemosina come autotassazione nella cultura musulmana, mentre l'equivalente formale è l'obbligo di legge di pagare le tasse allo Stato. Le istituzioni economiche sono l'insieme delle regole formali e informali che condizionano le motivazioni individuali nel campo economico, e delle organizzazioni che le rendono operative. Le istituzioni economiche, come le regole che esse incarnano, possono essere formali o informali. Inoltre possono essere pubbliche o private.

Le istituzioni informali, in genere, non nascono per esplicite finalità economiche, ma hanno influenza sul sistema economico, come un gruppo religioso o la famiglia. Le istituzioni formali invece nascono con esplicite finalità economiche e vincolano i comportamenti individuali con leggi statuali, come avviene ad esempio all'interno di un'impresa industriale. Le istituzioni formali private vincolano solo gli individui che ne fanno parte o vi aderiscono, mentre quelle pubbliche hanno il potere di emettere leggi vincolanti per tutti. I sistemi economici differiscono profondamente per quanto riguarda l'estensione, la natura e il peso delle istituzioni economiche. In generale, quanto maggiori sono l'estensione e il peso delle istituzioni, tanto minore è l'estensione e il peso delle motivazioni individuali nel determinare il funzionamento del sistema economico.

* Il sistema socialista, basato sul principio della proprietà collettiva e della determinazione dell'attività economica da parte dello Stato, dà uno spazio minimo alle motivazioni individuali e uno spazio massimo alle istituzioni formali e pubbliche.
* Il sistema capitalista, all'opposto, essendo basato sulla proprietà privata delle risorse e sulla libera iniziativa economica, aspira a mette al centro del sistema economico la realizzazione delle motivazioni individuali, la legittima il movente dell'interesse personale e del profitto, e tende a ridurre al minimo lo spazio delle istituzioni pubbliche.
* Le cosiddette economie tradizionali (economie di villaggio, piccole comunità, ecc.) mostrano che le istituzioni possono avere un forte peso regolativo anche se sono informali: gli individui sono strettamente regolati da norme religiose, famigliari o di gruppo (clan) per quanto attiene al loro stile di vita o alle loro aspirazioni, la legittimità dell'interesse personale e del profitto è limitata o bandita, il posto nel sistema economico e nella società è spesso predeterminato da altri.
* Si può osservare che la varietà delle forme organizzative del sistema economico, l'importanza delle leggi formali e del ruolo delle autorità pubbliche, e la richiesta di riconoscimento delle motivazioni individuali tendono ad aumentare quanto più ampia e più varia (culturalmente e socialmente) è la popolazione.


Diritti economici

Uno degli aspetti più importanti con cui le norme sociali influiscono sul sistema economico è la produzione di diritti economici, ossia l'insieme delle norme che attribuiscono agli individui diritti fondamentalmente su le risorse economiche, la distribuzione dei beni prodotti. I diritti economici possono essere non scritti, possono far parte delle norme tradizionali e consuetudinarie di un villaggio o possono essere scritti nelle leggi o nella costituzione di un moderno paese industrializzato. La principale e più antica forma di diritto sulle risorse sono i diritti di proprietà, che definiscono in quale misura e in quale modo un individuo ne possa disporre. La definizione di questi diritti è fondamentale, perché da essi deriva in quale modo e sotto la direzione di chi vengono organizzate le attività economiche. Ad esempio, se prevale il principio della proprietà privata il sistema economico dovrà essere organizzato nella forma del mercato. I diritti riguardanti la distribuzione dei beni prodotti sono detti anche diritti di partecipazione. Anch'essi sono un elemento fondamentale del sistema economico, in quanto chi vi partecipa deve sapere cosa riceverà in cambio di ciò che mette a disposizione dell'attività economica. Il contratto di lavoro è un tipico esempio. Inoltre, in tutti i sistemi in cui la partecipazione all'attività produttiva è necessaria per la propria sussistenza, vi devono essere anche adeguati diritti di accesso, ossia nessun membro della società deve essere escluso arbitrariamente dall'attività produttività. Ad esempio, nella cultura occidentale si è affermato il principio del diritto al lavoro. La mancanza di diritti di accesso, che dà origine all’emarginazione, è un fenomeno molto grave in molte società non democratiche, razziste o con norme sociali discriminatorie (ad es. le caste indiane). La categoria dei diritti economici viene usualmente distinta, nell’ambito della più ampia categoria dei diritti umani, da quella dei diritti civili e politici. Sul piano internazionale, in particolare, tale distinzione è operata dai due patti (covenants) delle U.N. (Nazioni Unite) sui diritti umani, l’uno dedicato appunto ai diritti economici, sociali e culturali e l’altro ai diritti civili e politici, entrambi adottati nel 1966 ed entrati in vigore nel 1976. Tra i principali diritti soggettivi contenuti nel patto sui diritti economici, sociali e culturali (adottato il 16 dicembre 1966 e sottoscritto e/o ratificato da moltissimi paesi) possono essere menzionati: il diritto al lavoro e quelli ad esso connessi (alla salute, all’eguaglianza retributiva, al riposo, etc.), il diritto di organizzarsi in sindacati e di scioperare, - il diritto a un adeguato standard di vita e alla soddisfazione dei bisogni primari.

Risorse economiche

Le risorse economiche possono essere riferite ad un singolo individuo o a un'intera popolazione. In questo secondo caso, tradizionalmente, la scienza economica individua tre categorie fondamentali di risorse:
* l'ambiente, che comprende tutte le caratteristiche naturali legate alla collocazione geografica, e in particolare il clima e le materie prime (quantità e qualità di terreni, acque, minerali);
* il capitale fisico, che comprende l'insieme dei mezzi di produzione a loro volta prodotti dall'uomo (macchinari, utensili, strumenti, etc.) e il tipo di tecnologia che essi esprimono;
* il capitale umano, che comprende in primo luogo la forza lavoro, cioè il numero di individui disponibili al lavoro nelle specifiche condizioni sociali e legali, e in secondo luogo la loro capacità, istruzione e informazione.

Le risorse economiche sono il fondamento di tutta l'attività economica. La loro quantità e qualità è uno dei fattori più importanti che determina la capacità di un sistema economico di soddisfare i bisogni della popolazione. L'aspetto critico delle risorse economiche è che esse, per la gran parte, a) sono esauribili nella quantità o deperibili nella qualità, b) non sono direttamente utilizzabili per la soddisfazione dei bisogni umani. Il Giardino dell'Eden è la rappresentazione di un mondo ideale dove questi due aspetti critici sono assenti, mentre la maledizione biblica della cacciata, "lavorerai con fatica", prefigura un mondo in cui le risorse sono limitate e devono essere trasformate col lavoro umano. La dotazione di risorse ha certamente una relazione con il benessere di un paese e della sua popolazione, ma questa relazione non è né semplice né diretta. Purtroppo le risorse economiche di un paese sono difficilmente misurabili, perché non tutte hanno la stessa unità di misura (come ad es. un valore monetario) e non tutte hanno una dimensione quantitativa. Si presenta poi il problema di definire il benessere. Comunque si voglia definire il benessere, la dotazione di risorse può non essere di per sé una misura adeguata per la ragione fondamentale che esse in larga parte non sono direttamente utilizzabili per la soddisfazione dei bisogni umani, cioè un problema di trasformazione delle risorse. Prendiamo ad es. uno degli indicatori ufficiali di benessere, il reddito pro-capite. La sua base di calcolo è la quantità di beni e servizi prodotti dal sistema economico, misurata dal cosiddetto prodotto interno lordo (PIL) rapportato alla popolazione. Ma il livello del PIL annuale, e quindi del reddito pro-capite, dipende fondamentalmente dalla trasformazione delle risorse cioè a) dalla quantità e qualità delle risorse, b) dal tipo di sistema economico in cui esse vengono utilizzate. Quindi, come in effetti si osserva abbondantemente nella realtà, non c'è una relazione diretta tra la semplice quantità di risorse e il reddito: vi sono molti paesi con elevate risorse (ad es. risorse ambientali e materie prime, quantità di forza lavoro, come i paesi africani) e un basso reddito pro-capite, paesi con minori risorse (come la Svizzera o l'Italia) e un alto reddito pro-capite. Perciò la distinzione concettuale tra risorse e reddito è molto importante; termini di uso corrente come paesi poveri e paesi ricchi vanno utilizzati con attenzione, chiarendo se ci si riferisce alle risorse o al reddito, e tenendo presente che, tecnicamente, povertà e ricchezza sono termini appropriati per la dotazione di risorse.

Sebbene la relazione tra disponibilità di risorse e benessere ed altri successi economici non sia stretta e diretta, la storia umana è profondamente segnata dalla lotta per l'appropriazione e la difesa delle risorse. Certamente, ne è stata segnata in modo particolare la vicenda storica dei paesi extra-europei, dal momento in cui, nel XV secolo, l'Europa entrò nel tempo dell'espansione sempre più intensa della propria economia e della propria popolazione. Il colonialismo verso gli altri continenti fu, nei secoli successivi, la risposta politico-economica al crescente fabbisogno europeo di risorse. I paesi extra-europei che riuscirono a svilupparsi economicamente in maniera comparabile a quella europea - come gli Stati Uniti, il Canada o l'Australia - furono paesi che, tra l'altro, si liberarono tempestivamente dai vincoli coloniali. I fautori delle varie forme e versioni delle teorie dello sfruttamento vedono una causa fondamentale dei problemi del Terzo Mondo in questa permanente disparità del fabbisogno di risorse del mondo occidentale industrializzato, e alle forme antiche e moderne di colonialismo, che hanno depredato o impoverito le risorse disponibili altrove. Da questo punto di vista è interessante sottolineare come la relazione diretta e necessaria tra quantità di risorse e benessere economico fosse assai più stretta in passato che oggi. Già all'inizio del '900 alcuni grandi studiosi sociali, come Max Weber (Germania, 1864-1920) e Friederich von Hayek (Austria, 1899-1992), osservarono che quello che chiamiamo "progresso" è, tra l'altro, un processo grazie al quale la relazione tra quantità delle risorse e risultati economici è sempre più indiretta, prendendo il sopravvento gli aspetti immateriali delle risorse, come la tecnologia, la conoscenza, l'informazione. Questa intuizione è risultata sempre più evidente nel corso del XX secolo, e oggi è stata ripresa dagli studiosi che parlano di "dematerializzazione" dell'economia. E' ancora presto per dire quanto questa tendenza potrà essere favorevole ai paesi poveri e quanto potrà rendere obsoleti i conflitti per l'appropriazione delle risorse.

Sfruttamento

Sfruttamento è un termine di uso comune (non necessariamente di significato negativo) che nel campo economico e sociale ha significati molteplici e complessi (generalmente di tipo negativo). Si può parlare di sfruttamento delle risorse economiche disponibili in una data regione o paese, riferendosi all'uso intensivo della terra, dell'acqua, dei minerali, etc. Si può parlare di sfruttamento, in particolare, di una delle risorse economiche principali ossia il lavoro umano. In questi casi il termine ha generalmente un significato negativo, ovvero vuole indicare un uso eccessivo, iniquo o addirittura illegale delle risorse disponibili. Quando l'uso delle risorse è regolato dai loro prezzi, lo sfruttamento spesso viene associato al fatto che viene pagato un prezzo ingiustamente basso. Questo può avvenire nel caso del commercio internazionale delle materie prime, quando viene fissato un prezzo molto vantaggioso per chi compra e poco vantaggioso per chi vende. Un prezzo troppo basso può non consentire di pagare adeguatamente i produttori, ma può anche creare una grave distorsione economica, in quanto porta ad un consumo eccessivo e ad un esaurimento rapido delle materie prime. Lo sfruttamento del lavoro può avvenire sia rispetto a come il lavoro è organizzato (condizioni igieniche, sicurezza, rispetto dei dritti), sia rispetto alla sua remunerazione.

Il problema del buon uso delle risorse economiche, in luogo del loro ingiusto sfruttamento, costituisce uno dei temi principali di tutto il pensiero economico e sociale. La complessità del problema deriva dal fatto che il concetto di sfruttamento comprende due accezioni: (a) un'accezione fa riferimento all’efficienza economica, per la quale l'uso delle risorse va valutato in base all'obiettivo di soddisfare al meglio i bisogni economici della società; (b) un'accezione fa riferimento alla giustizia sociale, per la quale l'uso delle risorse va valutato in base al rispetto dei diritti fondamentali dei membri della società. Nella realtà economica può crearsi un conflitto tra il criterio dell'efficienza e quello della giustizia. Ad esempio, l'estrazione intensiva del petrolio a basso costo dopo la II guerra mondiale certamente aumentò di molto l'efficienza economica e il benessere dei consumatori dei paesi industrializzati, ma impoverì i paesi produttori del Nord Africa e Medio Oriente, creando inoltre le condizioni per un troppo rapido esaurimento dei giacimenti. Un altro esempio è dato dal lavoro minorile nei paesi poveri. Prima dell'avvento del sistema economico capitalista, nel mondo occidentale il problema della distinzione tra buon uso delle risorse e sfruttamento era stato affrontato e regolato prevalentemente dalla dottrina sociale cristiana tesa a definire le "giuste prestazioni" e il "giusto prezzo". Dal XIX secolo in poi, il pensiero liberista ha affermato il principio per cui non c'è sfruttamento ogni qualvolta a) gli scambi economici rispettano la libera volontà delle parti nel rispetto delle leggi vigenti, b) viene pagato il prezzo di mercato, ossia il mercato come giudice del "giusto prezzo". La critica più radicale a questa visione è stata elaborata da Karl Marx (Germania, 1818-1883) e dal pensiero socialista. Il punto principale della critica di Marx è che il mercato non può determinare il "giusto prezzo" perché le parti sociali hanno un peso contrattuale diseguale: la parte che possiede i mezzi di produzione (i capitalisti) è in grado d'imporre le proprie condizioni all'altra che da essa dipende per il proprio sostentamento (i lavoratori). Ciò significa che i prezzi di mercato (in particolare il salario) non fanno altro che fotografare i rapporti di forza tra le classi e legalizzare lo sfruttamento. L'approccio marxista al problema dello sfruttamento ha avuto una vasta diffusione tra gli studiosi dei problemi della povertà nel Terzo Mondo. Secondo questi autori le relazioni economiche tra paesi industrializzati e il resto del mondo hanno creato un costante flusso di risorse economiche a buon mercato verso i paesi industrializzati, determinando in essi condizioni crescenti di ricchezza e di benessere a scapito delle condizioni economiche e di vita del resto del mondo. Di conseguenza, tra povertà e ricchezza delle due parti del mondo c'è una relazione di causa ed effetto. Tuttavia, anche autori non marxisti riconoscono che, sebbene non in forma diretta, le relazioni economiche tra le due parti del mondo possono generare condizioni sfavorevoli per i più poveri. Questa visione è stata molto diffusa, soprattutto in America Latina, negli anni '60 ad opera di Raul Prebish (Argentina, 1901-1988), Celso Furtado , Andre Gunder Frank , ma è stata sostenuta anche da economisti di formazione diversa come Paul Baran (Ucraina, 1910-1964), Paul Sweezy (Stati Uniti, 1910) e Thomas Balogh (Ungheria, 1905-1993).

Scambio ineguale

Una delle possibili cause di sfruttamento ai danni dei paesi del Terzo Mondo, che ha ricevuto un'ampia attenzione dagli studiosi, riguarda i meccanismi del commercio internazionale, in particolare del commercio tra paesi industrializzati e paesi produttori di materie prime. L'origine di un rapporto iniquo tra utilizzatori e produttori di materie prime è solitamente collocata nel colonialismo. Con questo termine si intendono quelle grandi conquiste territoriali extra-europee cominciate con la scoperta dell'America nel 1492, che hanno avuto una forte accelerazione tra XVIII e XIX secolo, ossia in concomitanza con l’industrializzazione dei paesi europei. Successivamente, secondo molti studiosi, i meccanismi del commercio internazionale hanno riprodotto gli stessi rapporti di sfruttamento, anche se formalmente i paesi produttori sono diventati indipendenti. Il passato coloniale viene visto come un grave handicap perché la specializzazione internazionale di un paese è un fattore importante per determinare vantaggi o svantaggi del commercio internazionale. Un caso emblematico in cui vi possono essere svantaggi è proprio quello dei paesi specializzati in esportazioni di materie prime (agricole, alimentari, minerali) a fronte di importazioni industriali. La specializzazione nelle materie prime a lungo andare può esser svantaggiosa, per i seguenti motivi:
* le materie prime hanno prezzi che tendono a diminuire rispetto ai prodotti industriali;
* la domanda di materie prime nei paesi industriali è tendenzialmente stabile, indipendentemente dal prezzo,
* quindi la diminuzione dei prezzi delle materie prime riduce gli incassi di valuta ma non fa aumentare di molto le esportazioni, e i paesi esportatori tendono a subire peggioramenti della bilancia commerciale.

Nel mondo sono diminuite nel lungo periodo le ragioni di scambio di tutte le materie prime rispetto ai beni manufatti dei maggiori paesi industrializzati. Ad esempio, nel 1960 la ragione di scambio delle materie prime non petrolifere era pari a 890 mentre nel 1998 è scesa a 91. Si potrebbe dire che, a parità di altre condizioni, nel 1998 un paese esportatore di questi prodotti, per mantenere invariata la bilancia commerciale, avrebbero potuto importare un quantità di manufatti circa 9 volte inferiore a quella del 1960.

Dipendenza

Una spiegazione del mancato sviluppo economico e della persistente povertà che fa riferimento al concetto di sfruttamento è quella della dipendenza. Con questo termine s'intende dire che i paesi poveri tendono anche ad essere dipendenti dai paesi ricchi per quanto riguarda la disponibilità di beni di consumo, di tecnologie, ma anche dal punto di vista sociale e culturale. Il meccanismo della dipendenza è spesso associato a quello dello scambio ineguale, perché i paesi che sono in grado di esportare soltanto beni di basso valore relativamente a quelli che importano, da un lato diventano dipendenti dai paesi esportatori di beni ad alto valore, dall'altro diventano un mercato di sbocco per questi beni, aumentando quindi le vendite all'estero dei paesi che li producono. Un aspetto importante collegato alla dipendenza e allo scambio ineguale è di tipo sociale. Solitamente i paesi che presentano questi problemi hanno anche una struttura sociale fortemente diseguale al proprio interno. I beni ad alto valore importati sono accessibili solo alle classi privilegiate, che spesso vengono presentate come "appendici" delle società ricche del mondo occidentale, mentre operai e contadini sono afflitti dai bassi salari che possono essere pagati nei settori nazionali che vendono a basso prezzo.

Politiche economiche

Le autorità politiche in ogni paese hanno il potere di emanare leggi che obbligano i cittadini a determinati comportamenti, ne proibiscono altri o ne consentono altri ancora. Una parte, che può essere più o meno estesa, dell'attività legislativa riguarda comportamenti che hanno direttamente o indirettamente effetti economici. In linea di principio la politica economica ha lo scopo di determinare o orientare i comportamenti individuali oppure di intervenire nelle attività economiche in modo da ottenere il maggior benessere economico possibile per la società nel suo complesso. La politica economica solitamente viene riferita alle attività che possono essere svolte dalle autorità politiche entro i limiti giuridici del sistema capitalista(proprietà privata e libera iniziativa), mentre la gestione diretta delle attività economiche oltre tali limiti configura il passaggio al sistema socialista. Tuttavia, anche nella prima accezione che consideriamo qui, l'estensione dei poteri e dei compiti delle autorità politiche nel campo economico è materia estremamente controversa sul piano dei princìpi economici e politici. Va detto inoltre che tali poteri e compiti si sono profondamente evoluti e modificati nel corso del tempo, pur considerando solo la storia successiva alla rivoluzione industriale della seconda metà del XVIII secolo.

Liberismo

Secondo la dottrina del liberismo i poteri e i compiti delle autorità politiche in campo economico devono essere ridotti al minimo necessario, mentre massimo spazio deve essere lasciato alla libera iniziativa economica dei cittadini. Tale visione nasce in Gran Bretagna nel XVII secolo (in particolare ad opera del filosofo John Locke (Inghilterra, 1632-1704)) e si diffonde in Europa nel secolo successivo, contribuendo crisi delle monarchie assolute culminata nella rivoluzione francese (1789), e in America del Nord dove alimenta la rivoluzione delle colonie contro il dominio britannico e la proclamazione dell'indipendenza degli Stati Uniti d'America (1776). Il liberismo poggia su due pilastri. Il primo è la rivendicazione dei fondamentali diritti umani rispetto allo Stato e al suo potere di limitare con la forza delle leggi le libertà dei cittadini. Il secondo pilastro, più strettamente economico, è l'idea che i cittadini lasciati liberi di perseguire i propri interessi economici, attraverso l'organizzazione dell'economia in un sistema di mercato e di libera concorrenza, possano ottenere il massimo benessere per sé e per la società nel suo complesso. Questa visione dell'economia prende corpo nel XVIII secolo, in particolare grazie alla fondamentale opera del filosofo ed economista scozzese Adam Smith (Scozia, 1723-1790), La ricchezza delle nazioni (1776). Il liberismo accompagna lo sviluppo del capitalismo e delle economie di mercato fino ai giorni nostri. Nella visione più classica [David Ricardo (Inghilterra, 1772-1823), Jeremy Bentham (Inghilterra, 1748-1832)], ripresa recentemente da Robert Nozick (Stati Uniti, 1939-2003), e dalla "scuola di Chicago" [James Buchanan (Stati Uniti, 1919), Milton Friedman (Stati Uniti, 1912) e Robert Lucas (Stati Uniti, 1937)], il liberismo attribuisce alle autorità politiche solo i compiti necessari per definire e rispettare i diritti di proprietà e per far rispettare gli impegni contrattuali e l'onestà nella condotta degli affari. Come ha sottolineato il grande filosofo ed economista liberale Friederich von Hayek (Austria, 1899-1992), nella visione liberista nessuna autorità esterna al singolo cittadino può disporre delle conoscenze, delle informazioni, delle competenze e delle motivazioni che la mettano in grado di soddisfare gli interessi del cittadino meglio di quanto egli stesso possa fare.

Politiche del benessere

Dal comune ceppo liberale si sviluppa, fino a diventare autonoma o addirittura alternativa, l'idea liberale riformista o sociale, cha porta ad una visione meno ottimista del funzionamento del mercato e ad una maggiore estensione dei compiti delle autorità politiche, John Stuart Mill (Inghilterra, 1806-1873), Alfred Marshall (Inghilterra, 1842-1924), Arthur C. Pigou (Inghilterra, 1877-1959), Luigi Einaudi (Italia, 1874-1961).
* Da un lato vengono rilevati alcuni limiti o vincoli al funzionamento ideale del mercato in base al principio della concorrenza, che possono impedire loro il raggiungimento del benessere sociale. Questi sono dovuti, principalmente, alla tendenza alla formazione di monopoli, e in generale a vantaggi indebiti (a scapito di altri) per singoli operatori.
* Dall'altro lato, viene evidenziato che il mercato incontra dei limiti anche rispetto al raggiungimento di alcuni criteri di benessere, come
l'equità nelle condizioni economiche all'interno della società,
la garanzia del soddisfacimento di bisogni primari come la salute o l'istruzione.

Questa visione porta a ritenere l'intervento pubblico come complementare, anziché alternativo, alla libera iniziativa privata. Essa è stata orientata in senso critico verso il liberismo classico da alcuni dei maggiori studiosi dei problemi dello sviluppo, pur in tempi e con argomenti diversi, come Abert O. Hirschmann (Germania, 1915) e, più recentemente, Amartya Sen (India, 1933) e Joseph E. Stiglitz (Stati Uniti, 1943).
* Le politiche a tutela della concorrenza, per impedire che la competizione economica venga falsata dalla concentrazione di potere economico in poche mani;
* L' uguaglianza dei punti di partenza, cioè intervenire affinché tutti siano nelle condizioni migliori per partecipare alla competizione economica, perché solo allora le differenze delle condizioni economiche finali (ad es. in base al merito individuale) sarebbero eque. Questo obiettivo può essere conseguito con strumenti fiscali (ad es. le imposte di successione), e con interventi più articolati che oggi sono raggruppati nel binomio capacità e opportunità Amartya Sen (India, 1933), vale a dire le capacità psico-fisiche e intellettuali (ad es. alimentazione, salute, istruzione) e le opportunità sociali di partecipazione (ad es. difesa dalla emarginazione, godimento di diritti economici, e degli altri diritti umani);
* Le politiche redistributive, sebbene le differenze nelle condizioni economiche siano viste come eque se ottenute in una competizione corretta e con eguali opportunità, il mercato può creare differenze tanto grandi da richiedere una correzione in senso egualitario. Gli strumenti principali sono di tipo fiscale (come l'imposta progressiva sul reddito, l'imposta sulla ricchezza, sussidi e agevolazioni per le classi di reddito più basse).

Politiche keynesiane

Un'altra importante forma di liberalismo sociale è costituita dalle politiche keynesiane, dal nome del loro ideatore e propugnatore, John M. Keynes (Gran Bretagna, 1883-1946), uno dei massimi economisti del XX secolo. Queste politiche furono concepite durante la grave crisi mondiale del 1929-32 che creò enormi masse di disoccupati e diseredati in tutti i maggiori paesi industrializzati. Keynes si oppose alla condotta liberista dei governi dell'epoca, sostenendo che la grave situazione economica non poteva migliorare lasciando le forze di mercato a sé stesse. Egli elaborò una complessa teoria della instabilità economica e della disoccupazione di massa, secondo la quale questo fenomeno si determina in quanto la domanda aggregata (cioè i consumi delle famiglie e, soprattutto, gli investimenti effettuati dalla imprese) è instabile. Una caduta degli investimenti (ad es. perchè gli imprenditori si attendono minori profitti) può non trovare adeguati correttivi spontanei da parte delle forze di mercato; le imprese iniziano a licenziare lavoratori, i quali sono costretti a tagliare i propri consumi, creando una ulteriore riduzione dei profitti, e così via in una spirale negativa che può creare una vasta disoccupazione (moltiplicatore keynesiano). Secondo Keynes, la disoccupazione di massa va affrontata e prevenuta con appropriati interventi delle autorità di politica economica, di regolazione e stabilizzazione del sistema economico. Tali interventi possono essere svolti sotto forma di politiche fiscali (riduzioni delle tasse, aumento dei sussidi di disoccupazione, aumento degli investimenti pubblici) o sotto forma di politiche monetarie (aumento dell'offerta di moneta, riduzione dei tassi d'interesse, svalutazione del tasso di cambio). Keynes stesso, che si definiva un liberale, sottolineò che questi suoi insegnamenti dovevano rimanere complementari al sistema di mercato, e favorirne un miglior funzionamento. Il pensiero di Keynes ebbe un'enorme influenza sulla politica economica in tutto il mondo dopo la II guerra mondiale. Una delle ragioni fu che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna riuscirono a risollevare le loro economie e a ricreare milioni di posti di lavoro già dal 1935 in poi grazie a terapie di tipo keynesiano. Un'altra delle tesi di Keynes fu l'evidenziazione della necessità di un sistema monetario internazionale ordinato e regolato. Ciò venne accolta durante la conferenza internazionale di Bretton Woods (Stati Uniti, 1944) che portò alla riforma del sistema monetario e alla creazione delle due principali organizzazioni economiche internazionali moderne, il F.M.I. (Fondo Monetario Internazionale) e la B.M. (Banca Mondiale). Il primo statuto del F.M.I. recepì pienamente lo spirito keynesiano dell'epoca, affermando che "compito dei governi è di operare per mantenere un livello alto e stabile di occupazione". L'ampia adozione di politiche keynesiane e il sistema monetario sorto a Bretton Woods furono ritenuti i maggiori fattori favorevoli al prolungato periodo, che va dal 1950 al 1970, di elevata occupazione, aumento della qualità della vita e crescita economica in tutti i paesi industrializzati.

Programmazione economica

Nel ventennio 1950-70 i confini dell'intervento pubblico nell'economia, soprattutto nei paesi europei, vennero molto estesi. Se il punto di partenza furono le idee liberal-riformiste e keyenesiane, il punto di arrivo fu la cosiddetta programmazione economica. Si tratta di una visione del governo dell'economia d'ispirazione socialdemocratica, che si affermò dopo la II guerra mondiale, sia in Europa che in alcuni paesi del Terzo Mondo di tradizione europea, con lo scopo di combinare l'assetto delle economie capitaliste con le aspirazioni alla giustizia sociale, all'affermazione dei diritti dei lavoratori e alla sicurezza economica ereditate dal movimento socialista. La programmazione economica è stata caratterizzata da:
* una presenza estesa del settore pubblico, pari a circa il 50% di tutta l'economia, attraverso la fornitura dei servizi sociali (assistenza, previdenza, sanità, istruzione) e la produzione diretta di alcuni beni o servizi strategici (elettricità, trasporti, energia, telecomunicazioni);
* regolamentazione dell'attività privata o anche fissazione dei prezzi nei settori di pubblica utilità o in quelli più fortemente instabili (ad es. i mercati finanziari);
* utilizzo delle politiche fiscali, soprattutto investimenti pubblici e tassazione, per stabilizzare l'andamento dell'economia e programmare il tasso di crescita in modo da raggiungere la piena occupazione.